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Opera d'arte dromedario di Pericoli Niccolò detto Tribolo (1500/ 1550), a Firenze

L'opera d'arte dromedario di Pericoli Niccolò detto Tribolo (1500/ 1550), - codice 09 00281673 - 10 di Pericoli Niccolò detto Tribolo (1500/ 1550), si trova nel comune di Firenze, capoluogo dell'omonima provincia sita in villa, Villa Medicea di Castello, Villa e giardino medicei di Castello, NR (recupero pregresso), Giardino, Grotta degli animali, parete destra
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bene culturalescultura, a sinistra
soggettodromedario
tipo schedaOA_3.00
codice univoco09 00281673 - 10
localizzazioneItalia, Toscana, FI, Firenze, CastelloNR (recupero pregresso)
contenitorevilla, Villa Medicea di Castello, Villa e giardino medicei di Castello, NR (recupero pregresso), Giardino, Grotta degli animali, parete destra
datazionesec. XVI ; 1568 (ca.) - 1580 (ca.) [bibliografia]
autorePericoli Niccolò detto Tribolo (1500/ 1550),
materia tecnicamarmo/ scultura
condizione giuridicaproprietà Stato, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
dati analiticiNR (recupero pregresso)Soggetti profani. Animali: dromedario.
notizie storico-criticheLa grotta degli animali del giardino della villa di Castello concludeva l'asse prospettico che, partendo dalla Fontana di Ercole, raggiungeva il terrazzamento del selvatico passando per la Fontana del Labirinto. Tale configurazione non esiste più, a causa del trasferimento della Fontana del Labirinto alla villa della Petraia e dello spostamento di quella di Ercole, avvenuta nel 1796. La grotta era prevista già nel progetto elaborato dal Tribolo sulla base letteraria ideata dal Varchi (per la descrizione del progetto originario, solo in parte realizzato, cfr. Vasari). la configurazione della grotta ideata dal Tribolo (documentata da due disegni a Londra, Soane Museum, e a Berlino, Kupferstichkabinett; cfr. Aschoff, 1967) prevedeva una struttura prevalentemente architettonica e plastica, con statue di satiri entro nicchie. A trasformazione dell'ambiente in uno spazio che imita artificiosamente la natura per mezzo di materiali rustici, di giochi d'acqua e di sculture raffiguranti animali, è frutto probabile dei successivi esecutori del progetto tribolesco, dapprima Davide Fortini dal 1550 al 1554, e poi soprattutto Giorgio Vasari dal 1554 al 1574. È proprio Vasari a ricordare che la grotta fu avviata sotto la direzione del Tribolo, suo amico, ma anche a non parlare degli animali sino all'edizione delle Vite del 1568, quando ricorda che Antonio Lorenzi era in quel momento all'opera proprio per gli animali. La grotta, nella configurazione attuale, che crediamo quindi di timbro quasi vasariano, è uno dei primi e meglio conservati e esempi di questa tipologia manieristica che ha a Roma la sua origine nella cerchia raffaellesca, ma a Firenze il massimo sviluppo e le realizzazioni più importanti (Castello , Boboli, Pratolino) (cfr. per le grotte nel giardino cinquecentesco: Conforti, 1981; Acidini Luchinat, 1979 e 1985, L'Arte delle grotte, 1987). Il tema simbolico e allusivo della fusione di natura e artificio entro un complesso sistema di richiami letterari e allegorici qual era il giardino cinquecentesco, e in particolare quello di Castello (cfr. Del Bravo, 1978) si concreta nell'uso sapiente di spugne, mosaici di ciottoli e conchiglie, stucchi, sculture in pietre policrome e in bronzo. I gruppi scultorei degli animali risultano disorganici nell'assemblaggio di pezzi forse provenienti anche da altri gruppi (ad esempio i cani morenti da gruppi di caccia) ma certamente si legano nel significato iconologico complessivo, ancora oggi non del tutto chiarito. L'ipotesi che la grotta alludesse al mito di Orfeo (Del Bravo) si scontra con l'assenza del protagonista e col silenzio delle fonti (soprattutto Vasari e Montaigne). Interessante l'interpretazione della Chatelet Lange (1968) che vide l'unicorno protagonista della leggenda del risanamento delle acque col suo corno a favore degli animali del bosco. La leggenda, nota fin dal mondo greco, alluderebbe al ritorno dell'Età dell'oro col governo di Cosimo I e si legherebbe con la funzione che la grotta ha nel giardino di Castello. Le acque, provenienti dal vivaio dell'Appennino, passano difatti dal luogo segreto della grotta per essere poi distribuite, tramite le fontane non più resistenti o non eseguite, del Falterona di Monte Senario, dell'Arno e del Mugnone, alla Fiorenza del Giambologna. Le sculture degli animali, nelle quali la ricerca naturalistica si concreta nell'uso di pietre policrome e di stucco dipinto oggi quasi del tutto scomparso, sono certamente opera di seguaci di Tribolo, attive nel giardino di castello sino agli anni '80 del Cinquecento. Se Giambologna e Ammannati sono documentati per gli animali in bronzo, oggi al Bargello, l'intervento di Antonio Lorenzi, principale collaboratore del Tribolo, è fondato sulla citazione vasariana ma non è precisabile con esattezza. Gli studiosi hanno poi fatto i nomi di Stoldo Lorenzi, Davide Fortini, Giovanni Fancelli e Zanobi Lastricati (cfr. Conforti, 1981). Un intervento di Innocenzo Spinazzi (cinghiale e la cerva) è documentato al 1791-1792. altri restauri al parato rustico sono documentati nel 1764, ma l'aspetto della grotta è sostanzialmente integro. Il cattivo stato di conservazione riguarda soprattutto fratture e mancanze degli animali e la decoesione e la caduta delle spugne, di ciottoli e delle conchiglie per la forte umidità e la deperibilità stessa dei materiali (Acidini, 1987 e Giusti, 1987).
committenzaCosimo I, granduca di Toscana (1537)
definizionescultura
regioneToscana
provinciaFirenze
comuneFirenze
localitaCastello
indirizzoNR (recupero pregresso)
ente schedatoreL. 41/1986
ente competenteS417
autori della catalogazioneCompilatore scheda: Casciu S.; Funzionario responsabile: Damiani G.; Trascrizione per informatizzazione: ARTPAST/ Gavioli V. (2006); Aggiornamento-revisione: ARTPAST/ Gavioli V. (2006), Referente scientifico: NR (recupero pregresso);
anno creazione1990
anno modifica2006
latitudine43.779926
longitudine11.245030

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